venerdì 25 giugno 2010

La crisi dell'Italia: Lippi colpevole, ma non troppo.

Marcello Lippi ha avuto il coraggio di assumersi tutte le responsabilità. Secondo una buona fetta dei Tifosi italiani, è stato il minimo che potesse fare dopo la disfatta di questo mondiale che segna la pagina più nera della storia del nostro calcio.

Il tecnico di Viareggio ha peccato di presunzione, forse eccessivamente galvanizzato dalla vittoria nel mondiale precedente, forse dal ricco ingaggio percepito per questa nuova avventura, forse, ancora, troppo convinto di sapere creare un nuovo gruppo stellare.

Per comprendere le ragioni del tracollo azzurro, dobbiamo però ritornare al 2006, quando Lippi era un eroe e la nostra Nazionale alzava al cielo il trofeo più importante. Il Ct azzurro annunciava l'addio alla Federazione, e il "sistema" calcio cercava di voltare pagina dopo la vicenda
calciopoli. Ecco il problema: la pagina è stata girata troppo in fretta senza fare pulizia. L'allora commissario Guido Rossi trovò la soluzione d'emergenza chiamata Roberto Donadoni, mentre le squadre colpite dall'effetto calciopoli cercavano di rifarsi il viso per dimenticare il passato.

In tutto questo marasma, e con l'arrivo della nuova crisi finanziaria, si è persa una grande opportunità: quella di valorizzare i
vivai e i settori giovanili. Sono state troppo poche le giovani leve che hanno militato con continuità nelle squadre di riferimento: paradossalmente proprio l'Inter, il team con maggior numero di stranieri, ha lanciato le discontinue promesse Santon e Balotelli.

Lippi, nella sua testardaggine, può godere di un alibi non indifferente: quello di avere seguito la squadra in soli due anni, senza avere avuto l'effettiva possibilità di realizzare un progetto. Non a caso, ha sperimentato fino alle partite amichevoli pre-mondiale, con i dubbi tattici che tutti abbiamo visto anche nelle partite ufficiali. Un gruppo non si può consolidare in 15 giorni nè è possibile farlo vivere di rendita quattro anni dopo, con giocatori a fine carriera ed altri privi delle necessarie qualità tecniche.

A Prandelli il compito di fare reset, magari con un rinnovato organigramma federale.

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